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Perù, un mondo a parte, il parco nazionale del Manu.

P1030990Riprendiamo un articolo da National Geografich sul Parco Nanzioanale del Manu contiguo alla Riserva di Tambopata  , la zona di foresta che viene visitata dei nostri viaggi in Perù – Foresta.

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Il Parco nazionale del Manú è un paradiso naturale che, almeno per ora, rimane protetto grazie al suo isolamento e ai suoi abitanti indigeni.

Nel parco nazionale che include il fiume Manú e i suoi affluenti vivono circa 1.000 Matsigenka. La tribù può cacciare e coltivare all’interno del parco ma solo per sussistenza. Le scimmie ragno, come quella che si affaccia dall’albero in alto, sono prede prelibate, ma possono essere anche adorabili cuccioli.

Elias Machipango Shuverireni raccoglie il lungo arco di legno di palma e le frecce con la punta di bambù ben affilata. Andiamo a caccia di scimmie nel Parco nazionale del Manú, un’immensa fascia di foresta pluviale protetta ricchissima di biodiversità.   

La caccia è legale. Elias appartiene alla tribù indigena dei Matsigenka, un migliaio dei quali vive nel parco, soprattutto lungo le rive del fiume Manú e dei suoi affluenti. Tutti gli abitanti indigeni del parco – le cosiddette tribù incontattate in cui rientrano anche i Matsigenka – sono autorizzati a raccogliere piante e catturare animali per il loro sostentamento, ma non possono vendere le risorse del parco senza uno speciale permesso né cacciare con armi da fuoco. 

Elias e sua moglie –  nella foresta del Manú non si usano cognomi – coltivano yucca, cotone e altri prodotti in una piccola radura affacciata sul fiume Yomibato. I loro figli raccolgono frutta ed erbe medicinali. Elias pesca e abbatte alberi. E va a caccia, soprattutto di scimmie ragno e scimmie lanose brune, il cibo preferito dei Matsigenka. Entrambe le specie sono a rischio. 

Le cose vanno così da molto tempo, ma alcuni biologi che hanno a cuore le sorti del parco sono preoccupati dalla crescita demografica dei Matsigenka. Che cosa accadrebbe se la loro popolazione raddoppiasse? E se iniziassero a usare armi da fuoco? Le scimmie sopravviverebbero? Come cambierebbe la foresta senza quelle specie, che disperdono nella giungla i semi dei frutti di cui sono ghiotte? Oggi che la foresta intorno al parco è sempre più frammentata dall’estrazione del gas naturale, dalle attività minerarie e dal disboscamento, la protezione di quest’area è diventata una questione cruciale. E qualcuno comincia a chiedersi se le popolazioni che vivono dentro il parco lo danneggino o meno, e se il parco stesso porti benefici a loro. 

Elias, 53 anni, ha i capelli neri e ricci e lo sguardo intenso. Vive in una radura con alcune capanne aperte con il tetto di foglie di palma. In una giornata afosa di novembre attraversiamo i campi e ci inoltriamo nella giungla in compagnia di suo genero Martin, sua figlia Thalia e una delle sue giovani nipoti. Anche Martin è armato di arco e frecce. Thalia ha una sacca tessuta a mano da riempire di piante. Ho portato con me Glenn Shepard, un antropologo che lavora e vive tra i Matsigenka da trent’anni ed è uno dei pochi estranei a parlare correntemente la loro lingua. 
Siamo nella giungla da cinque minuti e sentiamo il verso dei callicebi grigi. I cacciatori non rallentano neppure, con queste scimmie in genere fanno pratica i più giovani. Altri cinque minuti ed è il turno di un gruppo di scimmie cappuccine. Elias si ferma, solleva pure l’arco ma poi le lascia andare. Meglio aspettare qualcosa di più poshini, prelibato. Cominciamo a scrutare gli alberi e ne vediamo alcuni i cui frutti sono caduti da poco. Le scimmie sono state qui, ma sono andate via. Passa un’altra ora. Alla fine il volto di Thalia si illumina. Osheto sussurra: «Ecco le scimmie ragno».

Adesso le vediamo, saltano veloci tra le chiome degli alberi, 20 o 30 metri sopra le nostre teste. La caccia comincia: inciampo nelle radici, avanzo tra i rampicanti, sto attenta a evitare i serpenti e finisco contro rovi e ragnatele. Elias e gli altri si muovono con più grazia, ma questa giungla è difficile anche per loro. Cacciare gli animali al suolo – un paio di grassi pecari per esempio – è già abbastanza duro. Per catturare una scimmia ragno un Matsigenka deve prima di tutto trovarla e poi riuscire a colpire un bersaglio che si muove senza regole a un’altezza equivalente a sei piani di un palazzo. 

Il cacciatore ha a disposizione alcune medicine naturali per migliorare le prestazioni. Un giorno prima della caccia beve l’ayahuasca, una potente miscela psicoattiva che lo fa vomitare, aiutandolo a eliminare le cattive influenze spirituali e a entrare in contatto con gli spiriti che controllano la sua preda. Per avere una mira più precisa può spremersi il succo di una pianta negli occhi. Anche durante la caccia può masticare un’erba di palude, il piri-piri (Cyperus articulatus), su cui cresce un fungo psicoattivo che migliora la capacità di concentrazione. Shepard, che l’ha provata, la chiama «il Ritalin della giungla». 

Continuiamo a seguire i segnali di Thalia mentre sagome scure con arti lunghi si muovono rapide molto sopra di noi. Elias si porta in testa al gruppo con un balzo, individua una femmina, prende la mira e scocca una freccia. Manca il bersaglio. Le scimmie scappano. Inutile tentare con un secondo tiro. Se avesse avuto un fucile la scimmia sarebbe morta. 

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