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Italia e Cile insieme per proteggere i ghiacciai andini.

Riprendiamo l’ articolo di Montagna TV

 Viaggio in Cile di Planet Viaggi Responsabili

Cile

MILANO — L’expertise italiana a supporto del Cile per lo studio e il monitoraggio dei ghiacciai delle Ande. Sta procedendo con successo la collaborazione tra Italia e Cile, che ha preso forma con il progetto “Plan de Acción para la Conservación de Glaciares ante el Cambio Climático” promosso dal Comitato Evk2Cnr, che mira alla generazione di dati per il network di monitoraggio dei ghiacciai cileni e all’implementazione del network di monitoraggio idrologico montano. 4 campagne glaciali sono state già svolte, e altre sono in programma. Guglielmina Diolaiuti, coordinatrice del progetto insieme al noto glaciologo Claudio Smiraglia, ci spiega nel dettaglio i “lavori in corso” in questa ampia intervista.

Una campagna sui ghiacciai del Cile: come è nato questo progetto?
Le ricerche in Cile in ambito EvK2CNR sono nate grazie ad un bando internazionale finanziato dalla Banca Interamericana di Sviluppo per una consulenza scientifica nel settore Glaciologia da prestare al Dipartimento Generale delle Acque (DGA) del Governo Cileno. EvK2CNR ha partecipato basandosi sull’esperienza maturata nel settore glaciologico negli ultimi decenni in cui ha operato in Himalaya, in Karakorum e sulle Alpi, ed è risultato vincitore. I referenti scientifici scelti per predisporre il progetto operativo e per coordinare le attività di ricerca siamo stati io e il prof. Claudio Smiraglia dell’Università degli Studi di Milano, mentre il coordinamento esecutivo e la relazione con gli enti locali è curata dal dott. Luca Listo del Comitato EvK2Cnr. Da diversi anni operiamo in collaborazione e sinergia con il Comitato per svolgere attività glaciologiche in Europa e in Asia. Le ricerche glaciologiche in Cile (catena Andina e Patagonia) completano il quadro delle ricerche criosferiche extra-polari del Comitato e dell’Università di Milano e contribuiranno ad ampliare le nostre conoscenze sulla dinamica degli apparati glaciali del Pianeta e sulla loro risposta al cambiamento climatico in atto.

Quando avete inziato a lavorare in Cile?
Le ricerche italiane in Cile sono iniziate in Dicembre 2011 e la prima fase durerà un anno. La collaborazione prevede un forte contributo italiano sia per quanto riguarda le campagne di rilevamento di terreno, svolte e in corso di svolgimento sia nel settore centrale del Cile che in Patagonia, sia per quanto concerne l’elaborazione di dati glaciologici, geofisici, topografici e remote sensing. Una parte del progetto è anche dedicata agli aspetti idrologici di alcuni selezionati bacini montani cileni a prevalente alimentazione nivo-glaciale. Un gruppo di idrologi italiani, guidati dal dott. Ing. Daniele Bocchiola del Politecnico di Milano, sta ponendo le basi per lo sviluppo di una rete di monitoraggio a scala regionale.

Qual è l’obiettivo?
L’obiettivo principale del progetto è fornire al Dipartimento delle Acque (DGA) un supporto scientifico e tecnico per lo studio dei ghiacciai del Cile. La collaborazione prevede la continua presenza di esperti italiani presso la DGA che cureranno sia l’organizzazione di campagne di rilevamento sulle Ande e in Patagonia che la successiva elaborazione dei dati raccolti.
Il team di progetto è formato da 12 dottori di ricerca in scienze criosferiche, coordinati da me e Smiraglia di Unimi, che durante la loro permanenza in Cile illustrano ai colleghi cileni metodologie e tecniche della ricerca glaciologica e forniscono il necessario know-how. Nell’anno di progetto sono anche previsti momenti divulgativi-formativi quali workshop e seminari che permettono di valorizzare i risultati ottenuti e di illustrare ad un più ampio pubblico aspetti metodologici e tecnici.

Quali ghiacciai si stanno studiando?
I ricercatori italiani stanno concentrando la loro attenzione su una decina di ghiacciai del Cile, dislocati tra Ande e Patagonia e scelti per rappresentatività tipologica e dimensionale e per localizzazione geografica. Va tenuto conto che il Cile vede un’estensione complessiva del glacialismo pari a circa 20,000 kmq e pertanto è necessario selezionare solo alcuni apparati per valutarne l’evoluzione stagionale ed annuale e le relazioni con il clima.

Come si inserisce questo studio nei progetti di glaciologia che già coordinate in collaborazione con il Comitato EvK2Cnr?
I risultati che stiamo conseguendo con questo progetto rappresentano un importante completamento alle attività che UNIMI svolge con il Comitato e porterà ad una migliore conoscenza della dinamica glaciale in aree extra-polari. Va infatti considerato che i maggiori ghiacciai del Globo dopo Antartide e Groenlandia sono localizzati in Himalaya e Karakorum (il “Terzo Polo”) e sulle Ande-Patagonia e pertanto con il progetto cileno l’Italia sta raccogliendo dati molto importanti sulla dinamica del glacialismo in un settore del Pianeta che può giocare un ruolo davvero non trascurabile per le dinamiche ambientali e climatiche globali.
Ad esempio il contributo all’innalzamento del livello del mare atteso a seguito della fusione dei ghiacciai cileni è importante e quindi quantificarne le variazioni a breve e medio termine è sicuramente di primaria importanza. Va inoltre considerato che la DGA cilena si aspetta dai consulenti italiani un forte input nel passaggio del know-how tecnico scientifico soprattutto per lo sviluppo e la gestione di sistemi di monitoraggio ambientale da remoto (stazioni meteorologiche supraglaciali e stazioni idrometriche). Su questi aspetti il team italiano si basa sull’esperienza ormai ventennale di SHARE a vantaggio dello sviluppo della rete di monitoraggio cilena.

Sulla stampa si sente spesso parlare dei ghiacciai andini perchè scompaiono o perchè si sciolgono a causa del cambiamento climatico (es. crolli sul Perito Moreno). Ritenete che siano effettivamente più a rischio di altri?
La dinamica dei ghiacciai andini è complessa e dipende molto spesso dalle relazioni con i rilievi su cui insistono, in molti casi vulcanici. In questi casi bisogna tenere conto non solo dei fattori climatici (precipitazioni nevose e temperature) che come per tutti i ghiacciai ne governano la dinamica ma anche dell’effetto delle eruzioni e delle deposizioni di ceneri vulcaniche e detriti che ne modificano gli scambi energetici superficiali e i tassi di fusione. Vanno poi considerate particolari situazioni come laghi di contatto glaciale e supraglaciale o tasche d’acqua endoglaciali, frequenti in queste aree, che non solo complicano l’evoluzione e la dinamica glaciale ma anche rappresentano concrete condizioni di pericolosità e rischio ambientale (posso dar luogo a “rotte glaciali” inondando le aree vallive spesso abitate) . Si tratta quindi di una zona glaciale complessa dove in alcuni casi sono più evidenti che non sulle Alpi gli effetti della deglaciazione mentre in altri settori, fattori microclimatici locali permettono di preservare il glacialismo.

Che cosa è stato fatto nelle 4 campagne su ghiacciaio già svolte in Cile?
In sintesi le attività italiane hanno visto analizzati tutti gli aspetti della criosfera cilena dal permarfost ai ghiacciai.
I ricercatori italiani hanno provveduto a organizzare e installare su alcuni selezionati ghiacciai sia sulle Ande che in Patagonia reti di capisaldi (chiamati paline ablatometriche) per la misura della fusione superficiale a scala stagionale ed annuale. I capisaldi sono stati infissi per oltre una decina di metri di profondità nel ghiaccio glaciale grazie all’utilizzo di trivelle a vapore e sono stati misurati e verranno misurati periodicamente per quantificare l’emersione dal ghiaccio (che aumenta progressivamente in funzione della fusione glaciale superficiale).
Di questi capisaldi è stata anche acquisita la posizione con metodologia GPS GNSS (in differenziale real time) per localizzarli in cartografia. La posizione è stata acquisita più volte per valutare anche lo spostamento e quindi la velocità superficiale dei ghiacciai analizzati. La strumentazione utilizzata, a supporto di quella a disposizione del team cileno, è stata fornita da Trimble Italia ed i rilievi sono stati coordinati dal dott Marco Belo’, dottore di ricerca di UNIMI attualmente dipendente di Trimble e da diversi anni collaboratore del Comitato. Gli italiani hanno anche svolto campagne geofisiche (GEORADAR o Ground Penetrating Radar) per rilevare lo spessore del ghiaccio di alcuni selezionati apparati e modellarne meglio la dinamica e l’evoluzione. Abbiamo anche collaborato all’installazione di stazioni meteorologiche supraglaciali indispensabili per quantificare il bilancio energetico di questi apparati.

Primi risultati?
Uno degli apparati selezionati per lo studio è un debris covered glacier o ghiacciaio nero, chiamato Piramide e localizzato nel Cile Centrale, non lontano da Santiago. Su questo apparato la cui superficie è coperta da detrito roccioso di spessore da decimetrico a metrico, è stata localizzata una stazione meteorologica per la misura dei flussi energetici e una decina di termometri per la misura della temperatura superficiale e la quantificazione del flusso di calore nel detrito che promuove la fusione glaciale. Questa tipologia glaciale è diffusa anche in Himalaya e Karakorum e sulle Alpi e gli studiosi italiani sono leader nel descrivere le variazioni recenti e l’evoluzione di queste particolari morfologie.

Lo staff italiano ha anche avviato rilievi su un rock glacier, morfologia periglaciale o legata alla presenza del permafrost, localizzato non lontano dal debris covered glacier Piramide, per descriverne la dinamica, quantificarne il contenuto in ghiaccio e il bilancio energetico. Questa parte della ricerca è condotta in collaborazione con il maggior esperto italiano di permafrost, il prof Mauro Guglielmin di UNINsubria che da alcuni anni collabora con il Comitato EvK2CNR.

Quali sono i prossimi passi del progetto?
Le ricerche di campo avviate verranno continuate e completate anche da analisi di laboratorio per descrivere ad esempio l’evoluzione stagionale ed inter annuale (dal 2007 al 2012) del manto nevoso che con la sua fusione porta ad un contributo fondamentale nel bilancio idrologico dei bacini montani. Questa analisi verrà condotta studiando dati satellitari (MODIS) sulla scorta di quanto condotto dai ricercatori UNIMI EVK2CNR per il Parco Nazionale del Karakorum Centrale.

E’ la prima volta che lavorate in Cile?
Nell’ambito di un progetto Italiano sì, in precedenza avevamo solo avviato contatti e scambi con ricercatori cileni ma questi non erano inquadrati in un progetto formalizzato. E’ un passo avanti importante che riconosce le competenze e l’expertise del team italiano. Durante il seminario del progetto svoltosi il 6 e 7 giugno scorsi, oltre a implementare la collaborazione con la Dga, abbiamo avuto occasione di confrontarci con ricercatori cileni esterni alla DGA e quindi proporre valutare ulteriori collaborazioni tra Italia e Cile.

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